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Miele
A cura di
Rosalba Aversa
Regia:
Valeria Golino
Sceneggiatura:
Valia Santella, Valeria Golino, Francesca Marciano
Interpreti:
Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero De Rienzo, Vinicio Marchioni,
Iaia Forte, Roberto De Francesco
Scritto da
Mauro Covacich
Distributori:
BIM
Genere:
drammatico
Durata:
110’
Anno:
2013
Nazione:
Italia
Riconoscimenti
Festival
di Cannes
Menzione
speciale della Giuria Ecumenica a Valeria Golino
Nomination
Premio in Certain Regard a Valeria Golino
Nomination
Nastro d’argento
Miglior
regista esordiente a Valeria Golino
Miglior
attrice protagonista a Jasmine Trinca
Miglior
sonoro in presa diretta a Emanuele Cecere
Nomination
Miglior produttore a Riccardo Scamarcio e Viola Presbien
Nomination
attore non protagonista a Carlo Cecchi
Nomination
montaggio a Giorgio Franchin
Nomination
Globo d’oro
Miglior
opera prima a Valeria Golino
Miglior
attrice a Jasmine Trinca
TRAMA
Con il nome
fittizio di Miele, una giovane donna si occupa di suicidi assistiti
all'oscuro dei pochi che frequenta e di una società per cui la sua
attività è un reato. Chiamata al capezzale di persone a un passo
dalla morte, in cambio di denaro, somministra Lamputal, un farmaco
letale a uso veterinario che in dosi massicce assicura l'effetto
anche sul genere umano.
LA
REGISTA
Valeria Golino
Nasce a
Napoli il 22 ottobre del 1966, da padre italiano e madre greca. Entra
nel mondo del lavoro come modella, per dedicarsi dopo alla carriera
d’attrice cinematografica e infine alla regia.
Debutta con
Lina Wertmuller in “Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo
come un brigante da strada”. Interpreta: Storia d’amore, Rain
Man- L’uomo della pioggia, Respiro, La guerra di Mario, Caos calmo,
Giulia non esce la sera, La Kryptonite nella borsa, Il capitale
umano.
Nel corso
della sua lunga carriera ha ottenuto numerosi premi: 1 David di
Donatello, 4 Nastri d’argento, 3 Globi d’oro, 2 Ciak d’oro, la
Coppa Volpi, il Premio Flaviano a Venezia.
Debutta come
regista con il cortometraggio Armandino e Madre e nel 2013 con il
film Miele.
RECENSIONE
Miele,
primo lungometraggio di Valeria Golino, è un film aspro e duro ma
coraggioso, equilibrato e intelligente. Tratto dal romanzo di Mauro
Covacich, è la storia di Miele, nomignolo di Irene, che ha deciso di
guadagnarsi da vivere diventando “L’angelo della morte”:
abbrevia le sofferenze dei malati terminali e concede loro una morte
dignitosa e dolce. Il suo è un lavoro illegale e pericoloso che
compie senza falsi moralismi, senza ragioni umanitarie o scelte
politiche. La protagonista vive lontano dal mondo reale, in continuo
movimento, alla ricerca di una sua ragione di vita e di uno spazio in
cui vivere. Questo “viaggio” continuo, che è un percorso di
ricerca interiore, che la consuma fisicamente e mentalmente, finirà
quando s’imbatterà in un ingegnere cinico, scontroso e riservato,
interpretato magistralmente da Carlo Cecchi che dà al personaggio
spessore, intensità e distacco. Quando Miele scoprirà che questi ha
scelto di morire solo perché stanco di questo mondo, annoiato e
deluso, metterà in discussione il suo operato, si sentirà
un’assassina e non vorrà più esserlo. Jasmine Trinca riveste
questo ruolo con grazia nervosa e androgina e con una tenerezza
coinvolgente che solo qualche volta rischia di essere eccessiva.
Storia di redenzione, dunque, difficile e dolorosa che la Golino
filma senza indulgere al sentimentalismo e all’emotività e senza
alcun intento ideologico e morale. Film attuale, essenziale, privo di
abbellimenti stilistici, coerente fino alla fine. La regista, con
l’entusiasmo tipico degli esordienti, si dilunga a volte nella
narrazione, insistendo, soprattutto nella seconda parte,
sull’interiorità della protagonista, e rischia di apparire poco
razionale. Il film ne guadagna però in intensità, apparendo meno
freddo e distante di “Bella addormentata” di Bellocchio.
Solleva
inquietanti interrogativi che costringono gli spettatori ad aprire
gli occhi su quello che oggi è diventato un tabù sociale da tenere
nascosto nella vita reale: la morte. Degno di menzione il direttore
di fotografia Paharnok con le sue inquadrature raffinate e ricercate,
fatte di giochi di specchi, di vetri e di sguardi, che evita sequenze
di sogno e di sofferenze estreme. Il film non ha una sua colonna
sonora: la regista ha scelto un puzzle di musiche intriganti che le
piacciono e che risultano particolarmente adatte alla storia: “ Io
sono il vento” “Les sabots d’Helene” “Tonadillas
di Granadas”. Motiva
questa scelta dicendo che non vuole essere lei a suggerire la
commozione.
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